
Ipse dixit: l'emergenza rifiuti, sostiene il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, "ha preso un rilievo al di là di ogni giusta misura", soprattutto per quanto riguarda il rilievo mediatico che ha avuto nella stampa di tutta Europa.
Eggià!, perché ogni scarrafone è bello ‘a mamma soia direbbe il mio amico Gennarino Esposito! Ed è per amore filiale che un uomo di così alta levatura morale e politica come Napolitano fà quella sorprendente e surreale affermazione ?
Oggi mi sento velenoso suocero di questa sposa fedifraga dei miei ideali che è Napoli, città che prima ti parla seducente di amore, gioia e poesia, ti racconta la sua fiaba con la sua musica e con scenari di indicibile bellezza e poi ti precipita in una voragine di putridume indegna perfino del bordello di una baraccopoli.
Oggi svegliarsi a Napoli è come uscire dal sogno dell’ “Amor che move il sole e l'altre stelle” e ritrovarsi nel girone dantesco della merda, che soffoca questi dannati della Terra, i napoletani, vittime e carnefici tutti.
Qualche decennio fa era corrente dire irridendo “ vedi Napoli e poi muori…p’ ‘a puzza! Zam zam”! Segno che a Napoli, e dintorni, il pattume la faceva già da padrone: questo è un ricordo ben vivo in me.
Però bastava salire al promontorio del pino marittimo, anche quello poi martoriato e decorato con immondizia, e un’onda perdonante ti colmava l’anima alla vista di quel golfo azzurro azzurro, del Vesuvio, dei gabbiani, delle navi che immaginavi colme di migranti felici che tornavano alla Terra cantando “chisto è ‘o paese d’ ‘sole”.
La città che ho più volte visitato nell’ultimo mezzo secolo non è mai stata un modello di armonia architettonica e urbanistica, di vivibilità, così ferita dall’indifferenza dei suoi abitanti per le offese ad essa arrecate dalla sua classe dirigente, suoi predatori, suoi papponi.
L’immagine che ho adesso di Napoli è come quella di una femmina ancora sensuale e in fondo gentile, costretta a prostituirsi da prolifici e violenti prosseneti, ma che ancora vorrebbe parlarti di ciò che è rimasta dentro, nonostante tutto.
Del resto, come in Napule ca’ nun more, oltre un secolo fa, a Napoli e in tutto il mondo la gente cantava:
Chisto è Napule, / paese ca nun more... / ch'arrassumiglia â femmena: / ammore e tuósseco / ce sape dá!
Ora però l’ammore è appassito e ‘o tuosseco scorre ovunque a fiumi, dentro e fuori. Il lato oscuro ha preso il sopravento sulla forza, parafrasando George Lucas, che rendeva questa città unica al mondo per la sua storia, la sua arte, la sua musica, il suo sole, le sue bellezze naturali, la sua gente.
“ ‘O tuosseco “ non è solo il particolato o la diossina o le trasudazioni di liquame tossico delle discariche abusive e dei centri di raccolta delle ecoballe, bensì l’intreccio di responsabilità, comportamenti, dolose o colpose omissioni, complicità, omertà, incapacità, corruzione, avidità che formano il tessuto di tutta la società dirigente campana, lo specchio più sofferente di una nazione allo sbando.
Una città che sembrava intravedesse il recupero di quella identità nobile e fiera che un tempo pur ebbe e che ora invece mostra impietosamente le piaghe purulente di un morbo morale e materiale devastante.
Le parole di Napolitano, il lamento del figlio più rappresentativo di questo bel suol d’amore che era Napoli, sono solo un sobrio ma non riuscito tentativo di nascondere la sua vergogna per queste sue immonde piaghe, che non riesce a mascherare il dolore per la propria impotenza di fronte a questa nobile città che si spegne tra miasmi, fatiscenza e l’indifferenza dei più, l’indifferenza della rassegnazione.
E ‘o Presidente non ha la forza di guardare quelle piaghe e non rimane, scappa, il dovere istituzionale esige la sua alta presenza. Ha però la forza di dire: l'emergenza rifiuti "ha preso un rilievo al di là di ogni giusta misura" come dire che si è esagerato, che lo scherzo è andato oltre le intenzioni e che certi suoi fratelli, ah! birboncelli, hanno sì sbagliato, ma vanno perdonati e non privati per così poco della cena e della chiave di casa (e della cassaforte, ora vuota).
Ma intanto la grande madre muore mentre alcuni suoi miserabili figli bisticciano trafugando l’eredità, sordi ai fievoli lamenti della moribonda.
Altri figli, quelli da sempre emarginati, ghettizzati, gli “esposti”, i “teppisti”, come li chiamano i “legittimi” intenti a rubare l’oro di famiglia, quelli si incazzano di fronte all’indecenza, protestano, incendiano, aggrediscono, combattono.
E si sa, il mondo è fatto così. Può succedere che i “teppisti” prendano il sopravento, e facciano fuori i “legittimi”
Poi magari mammà guarisce, riprende a prolificare e per un po’ tutti diranno quanto è bella mammà appressandosi a succhiarle il latte dalle mammelle rifiorite, lasciando ancora a monnezza per le strade, nominando un nuovo presidente e…chista è Napule paisà.
Oggi mi sento velenoso suocero di questa sposa fedifraga dei miei ideali che è Napoli, città che prima ti parla seducente di amore, gioia e poesia, ti racconta la sua fiaba con la sua musica e con scenari di indicibile bellezza e poi ti precipita in una voragine di putridume indegna perfino del bordello di una baraccopoli.
Oggi svegliarsi a Napoli è come uscire dal sogno dell’ “Amor che move il sole e l'altre stelle” e ritrovarsi nel girone dantesco della merda, che soffoca questi dannati della Terra, i napoletani, vittime e carnefici tutti.
Qualche decennio fa era corrente dire irridendo “ vedi Napoli e poi muori…p’ ‘a puzza! Zam zam”! Segno che a Napoli, e dintorni, il pattume la faceva già da padrone: questo è un ricordo ben vivo in me.
Però bastava salire al promontorio del pino marittimo, anche quello poi martoriato e decorato con immondizia, e un’onda perdonante ti colmava l’anima alla vista di quel golfo azzurro azzurro, del Vesuvio, dei gabbiani, delle navi che immaginavi colme di migranti felici che tornavano alla Terra cantando “chisto è ‘o paese d’ ‘sole”.
La città che ho più volte visitato nell’ultimo mezzo secolo non è mai stata un modello di armonia architettonica e urbanistica, di vivibilità, così ferita dall’indifferenza dei suoi abitanti per le offese ad essa arrecate dalla sua classe dirigente, suoi predatori, suoi papponi.
L’immagine che ho adesso di Napoli è come quella di una femmina ancora sensuale e in fondo gentile, costretta a prostituirsi da prolifici e violenti prosseneti, ma che ancora vorrebbe parlarti di ciò che è rimasta dentro, nonostante tutto.
Del resto, come in Napule ca’ nun more, oltre un secolo fa, a Napoli e in tutto il mondo la gente cantava:
Chisto è Napule, / paese ca nun more... / ch'arrassumiglia â femmena: / ammore e tuósseco / ce sape dá!
Ora però l’ammore è appassito e ‘o tuosseco scorre ovunque a fiumi, dentro e fuori. Il lato oscuro ha preso il sopravento sulla forza, parafrasando George Lucas, che rendeva questa città unica al mondo per la sua storia, la sua arte, la sua musica, il suo sole, le sue bellezze naturali, la sua gente.
“ ‘O tuosseco “ non è solo il particolato o la diossina o le trasudazioni di liquame tossico delle discariche abusive e dei centri di raccolta delle ecoballe, bensì l’intreccio di responsabilità, comportamenti, dolose o colpose omissioni, complicità, omertà, incapacità, corruzione, avidità che formano il tessuto di tutta la società dirigente campana, lo specchio più sofferente di una nazione allo sbando.
Una città che sembrava intravedesse il recupero di quella identità nobile e fiera che un tempo pur ebbe e che ora invece mostra impietosamente le piaghe purulente di un morbo morale e materiale devastante.
Le parole di Napolitano, il lamento del figlio più rappresentativo di questo bel suol d’amore che era Napoli, sono solo un sobrio ma non riuscito tentativo di nascondere la sua vergogna per queste sue immonde piaghe, che non riesce a mascherare il dolore per la propria impotenza di fronte a questa nobile città che si spegne tra miasmi, fatiscenza e l’indifferenza dei più, l’indifferenza della rassegnazione.
E ‘o Presidente non ha la forza di guardare quelle piaghe e non rimane, scappa, il dovere istituzionale esige la sua alta presenza. Ha però la forza di dire: l'emergenza rifiuti "ha preso un rilievo al di là di ogni giusta misura" come dire che si è esagerato, che lo scherzo è andato oltre le intenzioni e che certi suoi fratelli, ah! birboncelli, hanno sì sbagliato, ma vanno perdonati e non privati per così poco della cena e della chiave di casa (e della cassaforte, ora vuota).
Ma intanto la grande madre muore mentre alcuni suoi miserabili figli bisticciano trafugando l’eredità, sordi ai fievoli lamenti della moribonda.
Altri figli, quelli da sempre emarginati, ghettizzati, gli “esposti”, i “teppisti”, come li chiamano i “legittimi” intenti a rubare l’oro di famiglia, quelli si incazzano di fronte all’indecenza, protestano, incendiano, aggrediscono, combattono.
E si sa, il mondo è fatto così. Può succedere che i “teppisti” prendano il sopravento, e facciano fuori i “legittimi”
Poi magari mammà guarisce, riprende a prolificare e per un po’ tutti diranno quanto è bella mammà appressandosi a succhiarle il latte dalle mammelle rifiorite, lasciando ancora a monnezza per le strade, nominando un nuovo presidente e…chista è Napule paisà.
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