"Credo che non ci sia sogno più bello di un mondo dove il pilastro fondamentale dell’esistenza è la fratellanza, dove i rapporti umani sono basati sulla solidarietà, un mondo in cui siamo tutti d’accordo sulla necessità della giustizia sociale e ci comportiamo di conseguenza"
Certi personaggi fanno aimè sfoggio d’amor di patria e di posticcio spirito democratico appellandosi alla Costituzione Italiana, certamente coacervo di nobili enunciazioni e “vessillifera” di sacri simboli, forse letta, forse anche studiata, ma probabilmente non ben compresa.
Che la Costituzione Repubblicana rappresenti, per usare una locuzione di moda, un segnale di discontinuità rispetto al passato monarchico-fascista non c’è dubbio.
In essa i nostri Padri Costituenti vollero sciogliere le tensioni ideali, le ansie e le sofferenze di una classe negletta al regime fascista di allora e che aveva nel cuore l’ideale repubblicano del popolo sovrano, quale comunità, però, di individui liberi da sudditanze e sodale.
Ora un’attenta analisi della Costituzione della Repubblica Italiana rivela le incongruenze tra quanto conclamato in linea di principio e quanto attuato in termini di “guadagno” democratico delle nostre istituzioni.
Se per democrazia si vuole superficialmente intendere il mero dovere-diritto di votare proprio non ci siamo: questo è un concetto insolentemente riduttivo.
Meno che mai ci siamo sotto il profilo della partecipazione alla gestione della res pubblica, perché voto e gestione della res pubblica sono, allo stato, ampiamente manipolati dai partiti e dai loro caporioni con la connivenza dei loro mentori, dei loro sponsor, dei loro gregari (eletti), loro grati per il seggio parlamentare ottenuto, che, in Italia, si sa, equivale a un a vera e propria lotteria, indelebile offesa della buona fede dell’elettore ( il parlamentare italiano è il più pagato e privilegiato del mondo intero). Il principio fondamentale della nostra Carta Costituzionale recita:
L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione
Che solenne affermazione! Peccato che, quanto a sovranità del popolo, la storia recente di importanti referendum dimostra l’infondatezza dell’enunciato (finanziamento pubblico dei partiti, sistema nominale e maggioritario di rappresentanza, e via dicendo).
Quanto al lavoro dovremmo chiederlo a quel 60% di giovani meridionali e isolani perennemente disoccupati un parere sull’attendibilità della premessa;
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,) sia come singolo, sia nelle forme sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Qui mi vien di piangere e ridere insieme. Piangere perché non ci si può non commuovere leggendo una enunciazione così carica di cristiano impegno a prevenire e lenire le sofferenze altrui. Ridere perché quando la si legge, l’enunciazione, e ci si guarda attorno si coglie amaramente un senso, neanche tanto sfumato, di presa per i fondelli, certamente non voluta dai padri costituenti, ma dai loro “disattenti” eredi sì!, che della Costituzione Repubblicana ne hanno fatto e continuano a farne carta igienica!
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Sulla pari dignità sociale ho “qualche” dubbio, ma sull’uguaglianza davanti alla legge nessuno. Un magistrato, infatti, dovrebbe spiegarci come fa un povero cristo, convenuto in giudizio, ad esempio, per intimazione di sfratto, a competere con il locatario e a sostenere spese giudiziarie e legali sempre molto consistenti, mai al di sotto di migliaia di euro, e certamente non alla portata di chiunque. E’ evidente che solo chi ha denaro può borrellianamente resistere, resistere, resistere in condizioni di eguaglianza davanti alla legge. L’articolo 3 prosegue poi così:
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Qui bisogna solo complimentarsi con i politici: loro sono riusciti a rimuovere tutti gli ostacoli, i loro, di ordine economico e sociale che limitavano di fatto la loro libertà di gozzovigliare nei ricchi pascoli del privilegio e della furberia, dove brucano a sazietà quelli di “Roma ladrona”, ex-disobbedienti, ex terroristi, corrotti e corruttori (che alla bouvette del parlamento magari bevono il caffè assieme).
Molto bravi i nostri politici, molto solerti e concordi nel riconoscersi prebende, integrazioni, rimborsi spese e quant’altro. Del resto chi li controlla? Non hanno vincolo di mandato, godono di incredibili immunità e una volta eletti stanno attaccati “al posto” con una pertinacia che solo lo scioglimento delle Camere li scolla.
Ma a proposito di ostacoli di ordine economico e sociale (art. 3) che fa la Repubblica Italiana? Ritengo che nessuno osi pensare che non avere una casa non sia un ostacolo di ordine economico e sociale. Ritengo, senza timore di essere smentito, che una persona senza casa, con la prospettiva di un dormitorio pubblico, costretta al randagismo, non possa attendere al suo pieno sviluppo (…) e alla partecipazione (…) all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Mi si dirà che oltre il settanta per cento degli Italiani ha la casa di proprietà. E l’altro trenta per cento? Cavoli loro, no?
Il problema della casa in affitto è stato per lungo tempo uno degli emblemi delle lotte politiche e sindacali, il tema centrale di estenuanti dibattiti politici, sociologici e culturali. Se ne occuparono vari enti, come la GESCAL, l’ IACP, e altri ancora di natura previdenziale, con scarso successo e in un clima di conflittualità che ne favorì la scomparsa. Venne allora promulgata la legge sull’equo canone che non risolse il problema, anzi produsse l’azzeramento del mercato delle case in affitto e la nascita del mercato degli appartamenti ammobiliati e delle locazioni senza regole nei comuni a “bassa densità abitativa”. Allora per stimolare il mercato degli affitti furono creati i “patti in deroga”, una sorta di contratto di affitto condizionato, che non ebbe grande successo. Oggi il mercato delle case in affitto è schizofrenico. Si ritiene che nelle grandi città un appartamento di due stanze da letto assorba l’intero stipendio o quasi di un comune lavoratore. Sicchè per avere un tetto occorrono almeno due stipendi: uno per abitare e uno vivere, in senso omnicomprensivo ovviamente.
Quali le cause di questo disagio che coinvolge non meno di quindici milioni d’italiani e decine di migliaia di senza tetto?
La prima, a mio avviso, risiede nell’improvvido atteggiamento del politico italiano che di fatto del problema oramai se ne disinteressa, salvo a sbandierarlo quando gli fa comodo in occasione delle tornate elettorali.
La seconda, sempre a mio avviso, nella miopia degli “ingegneri” della famelica pubblica finanza, che pervasi da sacro fuoco fiscale tassano tutto ciò che si vede, dopo aver tassato persino Biancaneve e i sette nani.
La terza, ma non meno importante, è da ascrivere alla distorta cultura previdenziale dell’italiano medio che spesso vede nella casa uno strumento di reddito sicuro per gli anni della merla, i più economicamente freddi della vita. Per non parlare poi dei padroni-usurai di case d’affitto degni compari di strozzini o cravattari che dir si voglia.
La pretesa neoliberista che il mercato degli affitti deve autoregolarsi sulla base della domanda e della offerta, così come di fatto sostenuto, promosso e realizzato nientepopodimenochè dal governo delle sinistre democratiche con il congelamento della legge sull’equo canone, equivale alla pretesa di certa parte della classe medica di affidare al libero mercato la cura della salute, ovviamente per esporre alle loro mire speculative la domanda di assistenza medica.
In qualunque paese progredito e civile il libero mercato delle locazioni è regolato o, comunque, calmierato da una robusta offerta pubblica e da un attivo servizio sociale di prevenzione dei disagi abitativi. In Italia, invece, la situazione è la seguente. Chi cerca casa, se insiste, insiste e insiste, prima o poi la trova. E se la trova gli passa la voglia di coronar il bel sogno d’amor e metter su famiglia.
In effetti, oggi, i giovani non sono molto incentivati a crearsi una famiglia perché le prospettive di una sistemazione abitativa della nuova famiglia sono piuttosto scoraggianti.
Allo stato attuale la soluzione più conveniente ( comunque onerosissima) è, potendo, comprare la casa, magari con un mutuo trentennale, rassegnandosi al fatto che il padrone di casa è la banca fin tanto che non si è rimborsato il prestito.
E gli sfrattati? Questa è una vera e propria tragedia, la prova provata della strafottenza e della incapacità dei pubblici amministratori di casa nostra. In Italia essere sfrattato è come dire delinquente. C’è però una differenza: il delinquente dorme in un letto di una cella riscaldata e quasi confortevole, lo sfrattato può invece contare sul dormitorio pubblico (se c’è), oppure sulle panchine dei parchi, in estate, sui marciapiedi, dove può allestire un talamo di cartone con tanto di soffitto, negli anfratti degli edifici pubblici, delle stazioni ferroviarie, delle metropolitane e via dicendo. Ovviamente ci sono sfrattati di classe superiore, cioè quelli che hanno un’autovettura: un vero e proprio appartamento!
Ma per comprendere appieno il senso di questa tragedia vi racconto cosa succede ad uno sfrattato. Prima, durante e dopo.
Prima. Nella vita può capitare di tutto, non è solo un modo di dire. Si può per pura sventura perdere tutto e diventare indigenti e, quindi, candidati allo sfratto. Succede che il padrone di casa, avendone facoltà, può intimare lo sfratto all’inquilino moroso, che se non paga, entro il termine stabilito dal giudice, i canoni d’affitto pregressi, oltre alle onerosissime e ingiustificate spese di giudizio, si vede convalidare lo sfratto entro un termine di “grazia” di tre mesi.
Durante. Di fronte a questa prospettiva che può fare uno sfrattato senza mezzi di sostentamento se non rivolgersi, come suggerisce indirettamente la Costituzione Repubblicana, al sindaco della propria città? Il sindaco attiva (?) prontamente i Servizi Sociali mettendo a disposizione dello sfrattato senza mezzi di sostentamento un assistente sociale, in genere dipendente del municipio.
L’assistente sociale convoca, di norma, lo sfrattando entro i quindici giorni successivi: se lo sfrattando nel frattempo muore di fame… l’appuntamento viene annullato. Avanti un altro!
Il giorno dell’appuntamento, in un confortevole studio che dà subito una sensazione molto tranquillizzante di sazietà (dei dipendenti comunali) ti viene detto che il Municipio può fare ben poco - la casa è sicuramente esclusa perché non ce né – e, al massimo, può erogarti un piccolo contributo, pagare le bollette dell’ elettricità e del gas fin quando non ti troverai sul lastrico.
Dopo di che – “…non si preoccupi perché l’esecuzione forzata ha i suoi tempi e lei ha tutto il tempo di liquidare quello che ha per fare un pò di quattrini. Qualcosa, ma non più di tanto, la mettiamo noi, ma la casa deve trovarsela lei, ai prezzi di mercato. Noi non possiamo fare più nulla, non perché non vogliamo, ma proprio perché abbiamo poche risorse!. Più in la potrà concorrere all’assegnazione del sussidio, senza nessuna garanzia però” – dopo di che, dicevo, lo sfrattato potrà pur sempre fregiarsi del titolo di “barbone” ed esercitare il diritto di stanziamento ovunque gli aggrada, senza pagare tasse, diritti e altre gabelle. Questa si che è libertà! Comunque una firma qui e una là, codice fiscale e carta d’identità e il gioco è fatto.
Dopo. Qualche mese dopo arriva il “contributo”, appena sufficiente a fare due o tre volte la spesa al mercato!
E maneggiando il “contributo” ricordi amaramente le parole della Costituzione Italiana, l’articolo 4 dei Principi Fondamentali:
(…) E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
E ricordi gli “onorevoli” impegni che la Repubblica Italiana assume anche a tuo nome nell’assicurare pace e assistenza sociosanitaria alle popolazioni balcaniche, afgane, irakene, libanesi, mentre ti lascia in merda.
E non puoi fare a meno di pensare che certi alienati occupanti gli scranni parlamentari pretendono di riempire le nostre strade di torme di diseredati che se non delinquono è perché sono in carcere mantenuti a caro prezzo dalla collettività italiana ( non meno di trecento euro al giorno! )
Il fare di questi stravaganti evoca quel figuro del coatto di quartiere che per fare bella figura con gli amici offre il caffè a tutti, presta la macchina col pieno (sennò che amico è?) e lascia la moglie e i figli senza un soldo.
E a casa propria cosa succede? Ogni giorno centinaia di onesti italiani chiedono invano sovvenzioni alle proprie municipalità per sopravvivere ignari che è più facile avere contributi sociali se hai un parente stretto in galera o se sei un terrorista di un paese straniero: i nostri br non sono di qualità, quindi a cacare!
Migliaia di onesti italiani sono da anni in graduatoria per avere una casa popolare che, in molti casi, vengono assegnate a stranieri sulla base di criteri preferenziali molto discutibili. Non sarebbe ora di finirla con questo minuetto di imbecillità istituzionali?
In Italia abbiamo tanti di quei problemi da risolvere che conviene fare gli svizzeri. Avete mai visto uno svizzero impegnato in missione di “pace” ? Mai sentito il governo svizzero proporsi come mediatore di contese internazionali? Mai visto una città svizzera diventare teatro di incontri vertenti su conflitti di altri paesi? La Svizzera però non fa guerre da circa duecento anni, è una minicomunità europea di successo ante litteram, fanno referendum senza trucchi e sono molto accorti nell’ospitare gente: loro vogliono solo gente che lavora, piglino i loro soldi e si rechino subito a casa loro, comunque e maggior ragione se disoccupati. L’hanno fatto con noi italiani per decenni e nessuno si sogna di dire che la Svizzera non è un paese democratico.
E’ bello riempirsi la bocca di “vogliamoci bene” a spese della famiglia senza personalmente farsi mancare niente. Così mi appaiono certi nostri parlamentari che per apparire cosmopoliti, capaci di elevati e nobili pensieri, ci portano via la “nostra” minestra per darla ai loro “loro” amici, senza rinunciare a cento euro dei loro opulenti emolumenti, i più consistenti al mondo.
E’ ora di finirla, Fratelli d’Italia! E’ ora di dire a questa gente che pretende di rappresentarci di fare le persone serie, di guadagnarsi lo stipendio lavorando davvero senza perdere tempo a spaperuttare sui problemi degli altri popoli trascurando i problemi del proprio Paese.
Questa gente, questi nostri riottosi, indisciplinati e menefreghisti dipendenti, che spesso si fregiano immeritatamente del titolo di “onorevole”, devono fare una sola cosa onorevole: onorare la Costituzione della Repubblica Italiana! Non “adeguarla”, non “modificarla”, non “cambiarla”, bensì darne piena attuazione.
Come? Innanzi tutto interpretandola correttamente, cioè alla lettera, perché la sua formulazione è chiara, inequivocabile, ed è ispirata da un principio sociale universale: il rispetto dell’Uomo, della sua Identità, dei suoi Valori, della sua aspirazione alla Felicità, della sua aspirazione alla Serenità.
Principio sociale universale che si concreta nella pace sociale, nell’effettiva eguaglianza di tutti di fronte a tutte le istituzioni e a tutti gli istituti, nella eliminazione di privilegi, sbarramenti, condizioni e, soprattutto, nel divieto di speculazioni basate sui bisogni fondamentali del cittadino, cioè casa,nutrizione, lavoro, istruzione e salute.
Casa perché è sopratutto nella propria casa che il cittadino svolge la sua personalità attraverso la forma sociale principe: la famiglia. Casa perché è nella propria casa che il cittadino s’imbeve di quei valori che ne determineranno i comportamenti sociali. Casa perché è nella propria casa che l’uomo ritrova se stesso, il senso del suo valore, della sua dignità e del rispetto di sé.
Cos’è un uomo senza casa? Uno sbandato, un reietto, una mina vagante, una umiliazione collettiva ( come non sentirsi umiliati da un mendico che girovaga tra i simboli dell’opulenza? O che rovesciato sul selciato mostra un barattolo con qualche centesimo tra l’indifferenza della gente che gli passa accanto? ).
La casa è quindi la precondizione dell’equilibrio sociale, che non può essere compromesso da intenti speculativi.
Per questo motivo il saggio governante deve promuoverne le forme di accesso privilegiando, attraverso la fiscalità, le scelte improntate all’economia e alla cooperazione, vale a dire residenze dignitose e autoprodotte in economia.
Il saggio governante deve intervenire per disincentivare la locazione speculativa e premiare, sempre attraverso la fiscalità, la locazione sociale, ovvero regolamentata.
La rivalorizzazione della legge sull’equo canone attraverso l’incentivazione fiscale è il primo passo. La proprietà immobiliare che affitta a equo canone deve essere esentata dal pagamento dell’ imposta comunale sugli immobili, deve essere esentata dalla tassazione del reddito immobiliare, deve godere di uno speciale regime fiscale incentivante l’investimento immobiliare sociale.
D’altra parte ciò che lo Stato perderebbe in termini di gettito fiscale lo risparmierebbe evitando di investire nella costruzione di alloggi popolari.
Il calcolo del canone di locazione deve tenere conto del reddito medio netto del contribuente italiano affinché il rapporto tra canone locativo e reddito non superi la soglia di un quarto.
Ai Comuni e alle Province deve essere poi consentita la facoltà di requisire temporaneamente unità abitative sfitte per destinarle all’uso sociale, contro equo indennizzo naturalmente, così come avviene per le espropriazioni per pubblica utilità.
Ovviamente il proprietario di un immobile non è obbligato a locare il proprio bene a equo canone. Nel qual caso non godrà di nessun vantaggio fiscale.
Comunque penso che al problema casa il legislatore dovrebbe dedicare un Testo Unico che ne inquadri la complessa problematicità e offra un corpus legis coerente e costituzionalmente ineccepibile, suscettibile di adeguamenti alle realtà in divenire.
Bilanciando i “pro” e i “contro” i vantaggi per la collettività sarebbero, penso, considerevoli. Certamente si avrebbe un maggior numero di matrimoni, e aumenterebbe la natalità.
Forse la manodopera potrebbe essere di nuovo attinta ai bacini tradizionali, quali il nostro Mezzogiorno e le Isole, capaci di offrire ottimi operai che troverebbero conveniente il trasferimento in altre parti d’Italia.
A chi obietta che, disincentivando gli investitori immobiliari, ne risentirebbe l’industria delle costruzioni dico subito che è un falso problema perché le moderne tecnologie costruttive consentono comunque buone redditività, soprattutto se defiscalizzate.
Una cosa è comunque certa: il mercato immobiliare si sgonfierebbe e cesserebbe di essere pascolo di mantenuti a vita dai conduttori dei loro appartamenti.
Questi parassiti che vivono di “rendita passiva” scoprirebbero così che far fruttare i propri soldi in un’altra maniera è più divertente, più frizzante, perché la carica di adrenalina che si sviluppa lavorando sul serio, senza sfruttare i propri simili e chiedendosi se ce la farai a pagare l’affitto col reddito conseguito, è davvero stimolante.
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